Notizie storiche tratte dalla “COLLECTANEA HISTORIAE” del biografo Dr. Emerit Nick Musacchio
Occorre considerare che le migrazioni degli Albanesi iniziarono fin dall'antichità, quella per esempio degli Illiri nel sud d'Italia e nell'Etruria e, altresì, quella che si verificò nel periodo Diocleziano Gaio Aurelio Valerio (243-313) di orgine illirico-dalmata, il quale nacque a Salona città vicino a Spalato. Avendo Salona parteggiato per Cesare contro Pompeo, divenne colonia autonoma. L'annessione all'Impero di Roma dei paesi illirici contribuì allo sviluppo della città di Salona che divenne capitale della Dalmazia. Roma penetrò profondamente nella Dalmazia e nè reclutò un gran numero di soldati: per questo Salona fu molto romanizzata, tanto intensa da assorbire completamente l'elemento illirico da rendere possibile un imperatore illirico-dalmato, quale Diocleziano. Le frequenti migrazioni erano formate da piccoli gruppi, utilizzando agili e veloci navi illirico-dalmate, le Laburniae, impiegate da Ottaviano contro le pesanti navi greche di Antonio e Cleopatra (Neri).
Anche durante il periodo di Carlo I d'Angiò ci furono continui movimenti migratori, da ambo le parti.
Le migrazioni più massicce si verificarono durante il lungo periodo delle invasioni turche nei balcani; molte famiglie preferivano abbandonare i patri lidi, piuttosto che sottomettersi al giogo dei turchi e dover abbandonare la fede cattolica per quella musulmana. L'invasione turca provocò l'immigrazione delle popolazioni balcane sottomesse nei possedimenti veneziani e ragusei.
Ai feudatari napoletani occorreva ripopoplare le proprie terre, rimaste deserte per il tremendo terremoto del 1456. Con la benevolenza del Re Ferdinando I e del Papa, le popolazioni emigrarono verso il Regno di Napoli.
Le immigrazioni nel Regno di Napoli furono facilitate dagli avvenimenti che condussero Skanderbeg in Italia per aiutare gli Aragonesi.
Re Ferdinando I era minacciato dall'esterno da Giovanni d'Angiò, per il quale combatteva il famoso capitano di ventura Jacopo Piccinino, e all'interno dai "Baroni" dei quali il più tenace esponente fu Giovanni Orsini, principe di Taranto, che possedeva terre dalle Puglie a Napoli.
Ferdinando I fu sconfitto il 7 luglio 1460 a Sarno e Skanderbeg, il quale aveva ricevuto aiuti per le campagne militari contro i Turchi, decise di intervenire in suo aiuto.
Dopo accordi presi con l'Ambasciatore napoletano Marco Cervasio, Skanderbeg inviò il nipote Giovanni Stresio Balsa con 500 cavalieri e nel settembre egli stesso sbarcò in Italia con 2000 soldati con i capitani (generali) Moisè Musacchio di Dibra e Zaccaria Groppa. In poco tempo vinse tutte le battaglie e riportò il dominio aragonese in tutte le Puglie, fino al basso Molise e all'Abruzzo.
Skanderbeg ebbe un ruolo determinate per sedare la rivolta dei Baroni che sovvertiva il regno dell’amico Ferdinando d’Aragona Re di Napoli, detto Ferrante. Ottenne in segno di riconoscenza ampi possedimenti in Italia meridionale, tra questi Monte Sant’Angelo, sul Gargano, il più importante santuario dell’epoca.
Nei primi anni del ‘500 la regina Giovanna d’Aragona, moglie del Re di Napoli Ferrante II, nei suoi feudi dotali di Guglionesi e Isernia, richiamò molti albanesi. A Guglionesi si stanziarono nella zona più alta del paese, presso la cinta muraria del Portello, e si organizzarono in forma autonoma anche dal punto di vista urbanistico. Cattolici di rito greco–bizantino, adattarono infatti alle esigenze di tale culto la chiesa di San Pietro. La testimonianza della loro fede viene resa da un celebre trittico in legno su fondo oro, opera di un artista albanese ivi dimorante, Michele Greco da Lavelona (Valona). La preziosa tavola reca la seguente scritta: “Hoc opus factum fuiti tempore domini liberatoris archipresbiteris San Pietri, sub anno incanationis 1508”.
All'inizio del 1500 Portocannone era un casale appartenente a Guglionesi, distrutto dal terremoto del 1456. Il Masciotta (Il Molise dalle origini ai nostri giorni - vol. IV, Cava dei Tirreni 1952) dichiara che Portocannone fu riabitato dagli albanesi di Guglionesi.
La necessità che aveva l’Università di Guglionesi di aumentare le proprie rendite, determinò l'invio degli albanesi a ripopolare i casali distrutti dal terribile terremoto del 1456 e dalle pestilenze, per dissodare e mettere a frutto i terreni incolti. Questa fu la ragione principale del ripopolamento dei casali di Montecilfone, Torre Francara e Portocannone. Ma non solo. Ururi, Campomarino e Santa Croce di Magliano, furono altre località ripopolate da albanesi, richiamati in quei territori dai feudatari laici o ecclesiastici, come Andrea da Capua che avendo acquistato il casale di Campomarino, lo aveva assegnato nel 1495 ad una colonia di albanesi. Lo stesso dicasi di Ururi, già mensa vescovile della diocesi di Larino, fu anch’esso assegnato in enfiteusi “per l’annuo censo di ducati trecento” al capitano albanese Teodoro Crescia, “per lui ed i suoi discendenti in linea diretta”, nel 1561.
Gli emigranti albanesi abbandonavano la loro Patria non solo per motivi politici e religiosi ma anche per le condizioni orografiche delle loro terre, montagnose e aride, arruolandosi come soldati di ventura nella speranza di ottenere la concessione di terreni.
Nel XIV secolo le migrazioni albanesi, come pure quelle slave, furono determinate da ragioni economiche, mentre quelle dalla seconda metà del XV secolo furono causate essenzialmente dalla progressiva invasione turca dei balcani e dell'Albania.
Le grandi migrazioni nel Regno di Napoli ebbero inizio verso il 1416 e finirono verso il 1774.